Serata dedicata ai donatori della mostra “16 ottobre 1943. La razzia”
Si è svolto, presso la Casina dei Vallati, l’evento dedicato a tutti i donatori del materiale esposto nella mostra “16 Ottobre 1943 – La razzia”.
A fare gli onori di casa, Mario Venezia, Presidente della Fondazione Museo della Shoah, il quale ha ringraziato i donatori per aver messo a disposizione di tutti la loro preziosa documentazione. Hanno portato i propri saluti Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Ruth Dureghello, Presidente della Comunità Ebraica di Roma.
Durante la serata Marcello Pezzetti, curatore della mostra, ha invitato ciascun donatore a raccontare storie ed aneddoti che illustrassero il proprio legame con i documenti di famiglia. Le loro testimonianze hanno contribuito ad arricchire ed integrare la memoria del 16 ottobre.
Gli interventi si sono susseguiti secondo l’ordine espositivo della mostra. Il primo è stato Marcello Alatri, nipote di Lionello Alatri, che ha ripercorso la storia della sua famiglia attraverso alcuni documenti, quali il permesso di uscire dal ghetto di Roma concesso da Papa Pio VII a Sabato Alatri e alla sua famiglia nel 1814 e l’ atto costitutivo della ditta tessile Alatri nel 1820.
Alberto Di Consiglio ha mostrato la foto dello zio Salvatore Pavoncello, scattata in agosto 1938 durante il periodo di leva militare. Pochi mesi dopo, in seguito all’emanazione delle leggi razziali, venne allontanato dall’esercito. Alberto ha fatto riferimento anche alle pagine del diario di sua madre Fortunata Di Segni, all’epoca quattordicenne, che descrivono quello che vide la mattina del 16 ottobre.
Alberto Spizzichino ha narrato la storia di suo padre Angelo, che in seguito alle leggi razziali ricevette il foglio di congedo assoluto: dopo aver servito il suo paese, venne anch’egli allontanato dall’esercito.
Fabio e Roberta Di Veroli hanno presentato il biglietto consegnato dai nazisti agli ebrei la mattina del 16 ottobre, ritrovato da loro padre Renato Di Veroli, che era riuscito a nascondersi la sera precedente pensando che sicuramente gli arresti avrebbero toccato solo gli uomini in grado di lavorare.
Avvertito della tragedia, era immediatamente corso a casa dalla moglie Vanda della Torre e dai piccoli Rina e Adolfo, ma era troppo tardi: aveva trovato solo il biglietto. Dopo le guerra, Renato riuscì ad andare avanti e a formare una nuova famiglia. Oggi Fabio e Roberta mantengono viva la memoria dei fratellini mai conosciuti.
Sandro Gai ha descritto le opere realizzate dal padre Aldo, raffiguranti le scene della razzia di cui lui stesso fu testimone, tra Piazza Sonnino e Viale Trastevere. Decine di disegni a china e matita che, in mancanza di immagini fotografiche della retata, rappresentano una fondamentale testimonianza della più grande tragedia subita dagli ebrei in Italia.
Giorgio Capon ha raccontato la storia del nonno Augusto, ammiraglio ed eroe della Prima Guerra Mondiale. Il 16 ottobre, pur essendo avvisato della razzia in corso, decise di non fuggire, convinto di essere protetto dall’uniforme e dal ruolo che rivestiva. Venne comunque arrestato nonostante avesse mostrato una lettera di stima nei suoi confronti scritta da Mussolini.
Ofelia Moscato ha narrato la storia della famiglia Di Porto – Della Torre, completamente decimata dalla razzia. Ha inoltre descritto le circostanze dell’arresto di suo padre Giacomo Moscato, avvenuto il 6 febbraio del 1944. Giacomo sarà uno dei pochi sopravvissuti alla Shoah, sarebbe stato liberato a Mauthausen il 5 maggio del 1945.
Lorella Zarfati, ha ripercorso la drammatica storia della famiglia Di Veroli- Ajò: il padre Mario, la madre Grazia e la piccola Emma, della quale ci rimane soltanto una fotografia e il vestitino indossato alla festa dei suoi 40 giorni (Mishmarà).
Fernando Tagliacozzo ha ricordato le vicende della sorellina Ada, deportata insieme alla nonna Eleonora Sabatello e allo zio Amedeo Tagliacozzo. Il destino volle che la notte del 15 ottobre Ada rimanesse a dormire a casa della nonna, situata sullo stesso pianerottolo del suo appartamento. La mattina del 16 ottobre i nazisti fecero irruzione in uno solo dei due appartamenti, quello dove si trovava Ada, portando via tutti.
Sira Fatucci ha descritto infine le vicende della sua famiglia decimata dalla razzia. Solo in pochi si salvarono. I nazisti non risparmiarono neppure il piccolo Attilio, malato e quindi non in grado di affrontare il viaggio. Tra il materiale donato da Sira ci sono oggetti di grande pregio, come i bracciali e le spille appartenuti alla venditrice ambulante Rosa Fatucci.
In ricordo dei 16 sopravvissuti alla razzia del 16 ottobre e all’orrore dei campi di sterminio, è intervenuta la figlia di Cesare Efrati e la nipote di Angelo Efrati, Maria Limentani, che ha descritto il faticoso ritorno e la difficile vita dopo i campi dei suoi cari. Non è voluto mancare a questo appuntamento Roberto Di Segni, figlio di Lello, unico sopravvissuto alla razzia del 16 ottobre ancora in vita.
A chiudere la serata, i racconti toccanti di due persone, all’epoca bambini, che sono scampate miracolosamente alla retata: Mario Mieli ed Emanuele Di Porto. Il primo, di soli due anni, dopo essere stato catturato dai nazisti e fatto salire su un camion, venne salvato da una donna di religione cattolica. La donna, grazie all’aiuto di un ebreo arrestato che parlava il tedesco, convinse i nazisti di essere sua madre. Il bambino, dopo essere stato sottratto al pericolo, venne adagiato in un parco, dove subito dopo lo prese in cura la zia, la quale lo avrebbe cresciuto come suo figlio. Fino ad oggi Mario non è riuscito a conoscere la donna che gli ha salvato la vita.
Emanuele, invece, aveva 12 anni ed era nascosto nella sua casa in Via della Reginella, quando affacciato dalla finestra vide sua madre, Virginia Piazza, catturata dai nazisti. Nonostante le raccomandazioni, corse da lei facendosi così arrestare. Sulla camionetta tedesca, nella confusione, la madre dichiarò con decisione a un nazista che quel bimbo non fosse suo, riuscendo così a farlo scappare. Emanuele trovò rifugio su un tram, dove trascorse i successivi due giorni, grazie all’aiuto degli autisti. Il terzo giorno, dopo essere stato riconosciuto da un amico di famiglia, venne riportato dal padre, anche lui scampato alla retata. Purtroppo con la madre non si sarebbero mai più rivisti.